Caffè Letterario
Pungitopo
Anna Andreevna Achmatova

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Già ha coperto la follia
metà dell’anima con la sua ala
e un vino di fuoco mesce
e chiama in una valle nera;
e io ho compreso che devo concederle la vittoria,
dando ascolto al mio delirio
come se fosse ormai di un altro.
E nulla consentirà che io porti via con me
(per quanto possa implorarla
e annoiarla con le preghiere):
né gli occhi del figlio
impietrito dal dolore
né il giorno in cui venne la bufera
né l’ora dell’incontro in prigione
né il dolce refrigerio delle mani
né le ombre scosse dei tigli
né, come un lontano suono lieve,
le parole dei conforti estremi.

 

Si sta bene qui

Si sta bene qui: tra scricchiolii e fruscii
il freddo avanza ogni giorno.
L'albero cede sotto il candore
abbagliante delle rose di ghiaccio.
Sul bianco manto di neve
solo la traccia degli sci a ricordare
che tanto tempo fa di qui
passammo solo noi due.

 

La musa

Quando la notte aspetto il tuo arrivo
la vita sembra appesa a un filo.
Non contano libertà, giovinezza e onori
Eccola, è giunta. Solleva il velo,
mi osserva, attenta. Le chiedo:
"Dettasti tu a Dante l'Inferno?"
"Sì, io" risponde.

 

Dante
....................................................Il mio bel San Giovanni.(*)
........................................................................................Dante
Neppure dopo morto ritornò
nella sua vecchia Firenze.
Partendo non si volse indietro,
ed io a lui canto questo canto.
Fiaccole, notte, ultimo abbraccio,
oltre la soglia, selvaggio il grido del destino.
Le scagliò dall’inferno il suo anatema,
non la poté scordare in paradiso.
Ma scalzo, in panni da penitente
e cero acceso, non passò mai
per la sua Firenze agognata,
perfida, vile, attesa così a lungo...
........................................................1936

(*) In italiano nel testo

 

Ultimo brindisi

Bevo a una casa distrutta,
alla mia vita sciagurata,
a solitudini vissute in due
e bevo anche a te:
all’inganno di labbra che tradirono,
al morto gelo dei tuoi occhi,
ad un mondo crudele e rozzo,
ad un Dio che non ci ha salvato.

 

C’è nell’intimità degli uomini un confine

C’è nell’intimità degli uomini un confine
che né l’amore, né la passione possono osare:
le labbra si fondono nel terribile silenzio
e il cuore si spezza per amore.

Anche l’amicizia qui è impotente, e gli anni
pieni di felicità alta infiammata,
quando l’anima è libera e distratta
dal lento languore della voluttà.


Pazzo è colui che vi si appresta,
raggiungerlo è morire d’angoscia...
Ora puoi capire perché non batte
il mio cuore sotto la tua mano.

 

In sogno

Nero e duro distacco
che io sopporto al pari di te.
Perché piangi? Dammi meglio la mano,
prometti di ritornare in sogno.
Noi siamo come due monti...
non ci incontreremo più a questo mondo.
Se solo, quando giunge mezzanotte,
mi mandassi un saluto con le stelle.

 

Il miele selvatico sa di libertà

Il miele selvatico sa di libertà,
la polvere del raggio di sole,
la bocca verginale di viola,
e l’oro di nulla.
La reseda sa d’acqua,
e l’amore di mela,
ma noi abbiamo appreso per sempre
che il sangue sa solo di sangue...

Invano il procuratore romano,
tra gridi sinistri della plebe,
lavò davanti al popolo le mani,
e invano la regina di Scozia
tergeva da rossi schizzi
le palme affusolate, nell’afosa
oscurità del palazzo reale...

 

***

Strinsi le mani sotto il velo oscuro...
"Perché oggi sei pallida?"
Perché d'agra tristezza
l'ho abbeverato fino ad ubriacarlo.

Come dimenticare? Uscì vacillando,
sulla bocca una smorfia di dolore...
Corsi senza sfiorare la ringhiera,
corsi dietro di lui fino al portone.

Soffocando, gridai: "E' stato tutto
uno scherzo. Muoio se te ne vai".
Lui sorrise calmo, crudele
e mi disse: "Non startene al vento".

 

***

Non è il tuo amore che domando.
Si trova adesso in luogo conveniente.
Stanne pur certo, lettere gelose
non scriverò alla tua fidanzata.
Però accetta dei saggi consigli:
dalle da leggere i miei versi,
dalle da custodire i miei ritratti,
sono così cortesi i fidanzati!
e conta più per queste scioccherelle
assaporare a fondo una vittoria
che luminose parole di amicizia,
e il ricordo dei primi, dolci giorni...
Ma allorchè con la diletta amica
avrai vissuto spiccioli di gioia
e all'anima già sazia d'improvviso
tutto parrà un peso,
non accostarti alla mia notte trionfale.
Non ti conosco.
E in costa potrei esserti d'aiuto?
Dalla felicità io non guarisco.

 

***

Tutto me lo prometteva:
la curva del cielo, velata e scarlatta,
un dolce sogno fatto a Natale,
il vento di Pasqua dai mille suoni,

e i rossi tralci di vite,
e le cascate dei parchi,
e le due grandi libellule ferme
sul recinto di ghisa rugginosa.

Ed io non potevo non credere
che mi sarebbe stato amico,
quando salivo su erte montane
per un ardente, sassoso sentiero.

 

Ah, tu pensavi

Ah, tu pensavi che anch'io fossi una
che si possa dimenticare
e che si butti, pregando e piangendo,
sotto gli zoccoli di un baio.
O prenda a chiedere alle maghe
radichette nell'acqua incantata,
e ti invii il regalo terribile
di un fazzoletto odoroso e fatale.

Sii maledetto. Non sfiorerò con gemiti
o sguardi l'anima dannata,
ma ti giuro sul paradiso,
sull'icona miracolosa
e sull'ebbrezza delle nostre notti ardenti:
mai più tornerò da te.

..............................................................1921


***

Sto in ascolto,
come al suono di voci lontane,
ma non c’è d’intorno nulla, nessuno,
e voi deponete il suo corpo
in questa nera, buona terra.

Né granito, né salici
faranno ombra al suo cenere lieve,
soltanto i venti marini del golfo
giungeranno volando, per piangerlo…


***

Tu verrai comunque: perché dunque non ora?
Ti attendo, sono sfinita.
Ho spento il lume e aperto l’uscio
a te, così semplice e prodigiosa.

Prendi per questo l’aspetto che ti aggrada,
irrompi come una palla avvelenata
o insinuati furtiva come un bandito
o intossicami col delirio del tifo
o con una storiella da te inventata
e nota a tutti fino alla nausea
che io veda la punta di un berretto turchino
e il capopalazzo pallido di paura.

Ora per me tutto è uguale;
turbina lo Eniséj,
risplende la stella polare;
e annebbia un ultimo terrore
l’azzurro bagliore di occhi adorati.

 

***

Il cuscino scotta già
da entrambi i lati
e già la seconda candela
si spegne e si fa più acuto
il grido delle cornacchie.

Non ho dormito questa notte
ed è ormai tardi
per pensare al sonno.

E’ intollerabilmente bianca
la tenda alla bianca finestra.

 

***

Ti hanno condotto via all’alba,
ti andavo dietro come ad esequie,
nella buia stanza piangevano i bambini,
gocciava il cero sull’altarino.

Sulle tue labbra il freddo dell’icona.
Un sudore di morte lungo la fronte…

Non si scorda!

Come le mogli degli sterlizzi ululerò
sotto le torri del Cremlino


***

Davanti a questa pena piegano i monti,
non scorre il grande fiume,
ma sono saldi i lucchetti del carcere,
dietro di essi le tane dell’ergastolo
e un’angoscia mortale.

Per qualcuno alita fresco il vento,
per qualcuno si strugge il tramonto,
noi non sappiamo,
siamo ovunque le stesse,
sentiamo solo stridori odiosi di chiavi
e pesanti passi di soldati.

Ci si levava come a una messa mattutina,
si andava per un’inselvatichita capitale,
lì ci si incontrava più inanimate dei morti;
il sole più occiduo
e la Nevà più brumosa,
ma da lontano canta sempre la speranza.

La sentenza…

E subito sgorgano lacrime;
ormai separata da tutti,
come se dal cuore con dolore le strappassero la vita,
come se rozzamente la stendessero supina,
ma cammina…
vacilla…
sola…

Dove sono ora le amiche involontarie
dei miei due anni infernali?
Cosa scorgono nella tormenta siberiana?
Cosa intravedono nel disco della luna?
A loro io mando il mio addio.


***

Sulla dura cresta di un rialzo di neve
verso la tua bianca, segreta casa,
procediamo in un trepido silenzio,
così tranquilli, tutti e due.

Più dolce di ogni canto che ho intonato
è per me questo sogno che si avvera:
il vibrare dei rami che sfioriamo
e il suono lieve dei tuoi speroni.

 

***

Sentirai il tuono e mi rammenterai,
penserai: desiderava la bufera…
Sarà una striscia di cielo accesa di rosso
e il cuore come allora in fiamme.

***

Questa città a me cara dall’infanzia
nel suo silenzio di dicembre
oggi mi è parsa simile alla mia eredità sperperata.
Tutto ciò che veniva spontaneo,
che era così facile rendere,
calore dell’anima,
suoni di preghiere
e la grazia divina del primo canto,
tutto si è dissolto come fumo diafano
ed è imputridito nel fondo di specchi,
ed ecco ormai su ciò che è irrevocabile
il violinista senza naso ha preso a suonare;
ma con curiosità di forestiera
io guardavo le slitte guizzare
e ascoltavo la lingua materna
e con freschezza, con vigore
mi soffiava in viso la felicità,
quasi l’amico diletto da secoli salisse con me
sul terrazzino d’ingresso.

   
Pungitopo pungitopo@pungitopo.com