Caffè Letterario
Pungitopo
Leon Tolstoj

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

da "Guerra e pace": epilogo

Oggetto della storia è la vita dei popoli e dell'umanità. Afferrare e abbracciare in modo immediato con la parola, descrivere la vita, nonché dell'umanità, anche di un sol popolo, appare impossibile. Gli storici di una volta usavano spesso un solo e semplice metodo per afferrare e descrivere la vita, che pareva inafferrabile, di un popolo. Descrivevano l'attività dei singoli uomini che lo guidavano, e questa attività rappresentava per loro l'attività di tutto il popolo.
Alle domande: in qual modo singoli uomini obbligassero i popoli ad agire secondo la loro volontà e da che cosa fosse diretta la volontà stessa di questi uomini, gli storici rispondevano: alla prima domanda, col riconoscere il volere della Divinità che assoggettava i popoli alla volontà di un uomo eletto; e alla seconda domanda, col riconoscere quella stessa Divinità che indirizzava il volere dell'uomo eletto alla meta prestabilita. In tal modo, queste questioni si risolvevano con la fede nell'immediata partecipazione della Divinità alle faccende degli uomini.
La nuova scienza storica ha ripudiato nella sua teoria entrambe quelle proposizioni.
Parrebbe che, dopo aver ripudiato le credenze degli antichi circa la sottomissione degli uomini alla Divinità e la meta determinata verso la quale sono condotti i popoli, la nuova scienza avrebbe dovuto studiare non le manifestazioni del potere, ma le cause che lo formano. Ma essa ciò non ha fatto. Dopo avere respinto in teoria le concezioni degli storici di una volta, essa le segue in pratica.
Al posto degli uomini dotati di un potere divino e guidati direttamente dal volere della Divinità, la nuova storia ha messo o degli eroi dotati di capacità straordinarie, sovrumane, o semplicemente degli uomini forniti delle piú svariate qualità, dai monarchi ai giornalisti, che guidano le moltitudini. Invece delle precedenti mete, care alla Divinità, dei popoli ebraico, greco, romano, che apparivano agli antichi come le mete del movimento dell'umanità, la nuova storia ha posto mete sue: il bene del popolo francese, del germanico, dell'inglese e, nella sua suprema astrazione, il bene della civiltà di tutto il genere umano, per il quale s'intendono di solito i popoli che occupano il piccolo cantuccio nord-occidentale del gran continente.
La nuova storia ha ripudiato le precedenti credenze senza porre al loro posto una nuova concezione, e la logica della tesi ha obbligato gli storici che hanno apparentemente ripudiato il potere dei re e il fato degli antichi a giungere per altra via allo stesso risultato: a confessare che 1) i popoli sono guidati da singoli uomini e 2) che esiste una certa meta verso la quale si muovono i popoli e l'umanità.
[…]
Nell'anno 1789 si leva a Parigi un'agitazione; essa cresce, straripa e si esprime in un movimento di popoli da occidente a oriente. Piú volte queste movimento si dirige ad oriente; nell'anno '12 perviene al suo limite estremo: Mosca, e, con notevole simmetria, si produce un contromovimento da oriente a occidente trascinandosi dietro, proprio come il primo movimento, i popoli intermedi. Questo movimento inverso conduce al punto di partenza del movimento di occidente: Parigi, e si acqueta. In questo periodo ventennale di tempo un'immensa quantità di campi non sono piú arati, le case sono bruciate, il commercio cambia direzione; milioni di uomini impoveriscono, arricchiscono, emigrano, e milioni di uomini, di cristiani, che professano la legge dell'amor del prossimo, si uccidono l'un l'altro.
Che significa tutto ciò? Per qual ragione ciò e avvenuto? Che cosa ha obbligato quegli uomini a incendiar le case e a uccidere i loro simili? Quali sono le cause di questi avvenimenti?
Quale forza ha obbligato gli uomini ad agire in tal modo? Ecco le involontarie, semplici e quanto mai legittime dornande che l'uomo si pone, scontrandosi nei monumenti e nelle tradizioni del trascorso periodo di movimento. Per la soluzione di questi problemi noi ci rivolgiamo alla scienza tonica che ha per fine l'autoconoscenza dei popoli e dell'unanità.
Se la storia si attenesse alla vecchia concezione, direbbe: la Divinità, a ricompensa o a castigo del suo popolo, ha dato a Napoleone il potere e ne ha guidato la volontà per il conseguimento dei suoi scopi divini. E la risposta sarebbe completa e chiara. Si poteva credere o non credere nel significato divino di Napoleone; ma per chi ci credeva, tutto, in tutta la toria di quel tempo, sarebbe stato comprensibile e non ci sarebbe potuta essere nemmeno una contraddizione. Ma la nuova scienza storica non può rispondere in tal modo. La scienza non accetta la concezione degli antichi circa la dietta partecipazione della Divinità alle faccende dell'umanità, e perciò essa deve dare altre risposte.
La nuova scienza storica, rispondendo a quelle domande, dice: voi volete sapere che cosa significhi quel movimento, per qual ragione sia avvenuto e quale forza abbia prodotto quegli avvenimenti? Ascoltate:
«Luigi XIV era un uomo molto orgoglioso e presuntuoso; ebbe e tali amanti e i tali ministri, e governò male la Francia. anche gli eredi di Luigi furono uomini deboli e governarono male la Francia. Anch'essi ebbero i tali favoriti e le tali amanti. Inoltre alcuni uomini scrissero a quel tempo dei libriccini. Alla fine del XVIII secolo si unirono a Parigi due decine di persone, le quali cominciarono a dire che tutti gli uomini erano uguali e liberi. A cagione di ciò in tutta la Francia gli uomini presero a scannarsi e ad affogarsi a vicenda. Questi uomini uccisero il re e molti altri. In quello stesso tempo c'era in Francia un uomo geniale: Napoleone. Egli vinse tutti dappertutto, cioè uccise molta gente, perché era un uomo molto geniale. E andò a uccidere, chi sa perché, degli Africani, e li ammazzò così bene e fu così scaltro e intelligente che, giunto in Francia, ordinò a tutti di sottomettersi a lui. E tutti gli si sottomisero. Fattosi imperatore, andò di nuovo a uccider la gente: in Italia, in Austria e in Prussia. E anche là ne uccise molta. In Russia però c'era l'imperatore Alessandro che risolse di ristabilire l'ordine in Europa e perciò guerreggiò con Napoleone. Ma nell'anno '7 tutt'a un tratto fece amicizia con lui, e nell' '11 di nuovo venne a lite, ed essi si misero di nuovo ad ammazzar molta gente. E Napoleone condusse seicentomila uomini in Russia e conquistò Mosca; ma poi d'improvviso fuggì via da Mosca, e allora l'imperatore Alessandro, aiutato dai consigli di Stein e di altri, coalizzò l'Europa per levarsi contro il perturbatore della tranquillità di quella. Tutti gli alleati di Napoleone diventarono di colpo suoi nemici, e quest'esercito andò contro Napoleone che aveva raccolto nuove forze. Gli alleati vinsero Napoleone, entrarono in Parigi, obbligarono Napoleone a rinunziare al trono e lo mandarono nell'isola d'Elba, senza privarlo del titolo d'imperatore e mostrandogli tutto il loro rispetto, nonostante che cinque anni prima, e un anno dipoi, tutti lo considerassero come un brigante fuori della legge. E prese a regnare Luigi XVIII, del quale fino a quel momento e gli alleati e i Francesi avevano soltanto riso. Napoleone poi, versando lacrime davanti alla vecchia guardia, rinunziò al trono e andò in esilio. Quindi gli abili uomini di Stato e diplomatici (in particolare Talleyrand, che era riuscito prima di un altro a sedere sulla famosa poltrona e con ciò aveva ingrandito i confini della Francia) conversarono fra loro a Vienna e con quella conversazione resero i popoli felici o infelici. A un tratto diplomatici e monarchi per poco non leticarono; già erano pronti a ordinare di nuovo ai loro eserciti di uccidersi a vicenda; ma in quel momento Napoleone arrivò in Francia con un battaglione, e i Francesi, che l'odiavano, subito gli si assoggettarono tutti. Ma i monarchi alleati di ciò si adirarono e ripresero a guerreggiare coi Francesi. E vinsero il geniale Napoleone e lo trasportarono all'isola di Sant'Elena, avendolo a un tratto riconosciuto per brigante. E colà l'esule, separato da quanti erano cari al suo cuore e dalla sua amata Francia, morì su uno scoglio di morte lenta e trasmise le sue grandi gesta alla posterità. Ma in Europa venne la reazione e tutti i sovrani ricominciarono a far torto ai loro popoli.» Invano si penserebbe che questa sia una burla, una caricatura delle descrizioni storiche.
[…]
Uno storico afferma che l'avvenimento è stato determinato dal potere di Napoleone; un altro che è stato determinato dal potere di Alessandro; il terzo dal potere di un qualche altro personaggio. Oltre a ciò, gli storici di questa specie si contraddicono a vicenda perfino nelle spiegazioni circa la forza su cui è fondato il potere del medesimo personaggio. Il Thiers, bonapartista, dice che il potere di Napoleone era fondato sulla sua virtú e genialità; il Lanfrey, repubblicano, dice che era basato sulla sua fraudolenza e sull'inganno del popolo. Cosicché questo genere di storici, distruggendo a vicenda le loro tesi, con ciò stesso distruggono il concetto della forza che produce gli eventi e non danno alcuna risposta alla domanda essenziale della storia. Gli storici generali, che han da fare con tutti i popoli, sembrano riconoscere l'erroneità delle concezioni degli storici particolari circa la forza che produce gli avvenimenti. Essi non riconoscono questa forza come un potere insito negli eroi e nei sovrani, ma la stimano il risultato di molte forze variamente dirette. Descrivendo una guerra o l'assoggettamento di un popolo, lo storico generale ricerca la causa dell'avvenimento non nel potere di un sol personaggio, ma nell'azione reciproca dei molti personaggi legati all'avvenimento. Secondo questa concezione, il potere dei personaggi storici, presentandosi come il prodotto di numerose forze, parrebbe non potere ormai essere riguardato come la forza che di per sé produce gli eventi. Tuttavia gli storici generali nella maggior parte dei casi tornano ad usare il concetto di potere come quello della forza che di per se stessa genera gli avvenimenti.
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Gli abitanti della campagna, non avendo un chiaro concetto delle cause della pioggia, dicono, secondo che vogliano la pioggia o il bel tempo: il vento ha scacciato le nubi o il vento ha portato le nubi. Allo stesso modo gli storici generali: a volte, quando ne hanno voglia, quando ciò si adatta alla loro teoria, dicono che il potere è il risultato degli eventi; e volte, quando occorre dimostrare un'altra cosa, dicono che il potere produce gli eventi.
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Una tale conclusione degli storici si può forse spiegare solo con quanto segue: 1) la storia è scritta da dotti, e quindi è per essi naturale e piacevole pensare che l'attività della loro categoria sia la base del movimento dell'intera umanità: esattamente come è naturale e piacevole pensar questo per i mercanti, gli agricoltori, i soldati (ciò non viene dichiarato solo perché i mercanti e i soldati non scrivono la storia); 2) l'attività spirituale, l'istruzione, la civiltà, la cultura, l'idea, tutti questi sono concetti vaghi, indefiniti, sotto la cui bandiera è molto comodo usar parole che hanno un significato anche meno chiaro e perciò sono facilmente applicabili a qualsiasi teoria.
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e perciò è necessario spiegare il significato del potere. Napoleone ha ordinato di raccoglier truppe e di andare in guerra. Questa presentazione delle cose ci è a tal segno abituale, a tal segno ci siamo immedesimati con questa opinione che la domanda perché seicentomila uomini vadano in guerra quando Napoleone ha pronunziato le tali parole, ci pare priva di senso. Egli aveva il potere, e perciò si eseguiva ciò che egli ordinava.
Questa risposta è del tutto soddisfacente se crediamo che il potere gli fosse stato dato da Dio. Ma appena non lo ammettiamo piú, è necessario definire che cosa sia questo potere di un uomo sugli altri.
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Il potere è l'insieme delle volontà delle moltitudini, trasferite con espresso o tacito consenso ai governanti scelti dalle moltitudini.
Nel campo della scienza del diritto, composta di ragionamenti sul come bisognerebbe costruire lo Stato e il potere, se costruirli fosse possibile, tutto ciò è molto chiaro; ma, applicata alla storia, questa definizione del potere richiede chiarimenti.
La scienza del diritto considera lo Stato e il potere come gli antichi consideravano il fuoco: come qualcosa che esiste in modo assoluto. Per la storia invece lo Stato e il potere sono soltanto fenomeni, precisamente come per la fisica del nostro tempo il fuoco non è un elemento, ma un fenomeno. Appunto da questa fondamentale diversità di concezioni fra la storia e la scienza del diritto proviene che la scienza del diritto può esporre minutamente come, a parer suo, bisognerebbe costruire il potere e che cosa sia il potere che esiste, immobile, fuori del tempo; ma alle domande della storia sul significato del potere che muta di aspetto nel tempo essa nulla può rispondere.
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Altrettanto poco si spiega, (...) la causa del fatto che per alcuni secoli l'insieme delle volontà resta nelle mani dei governanti e dei loro eredi, e poi tutt'a un tratto, nel corso di cinquant'anni, si trasferisce alla Convenzione, al Direttorio, a Napoleone, ad Alessandro, a Luigi XVIII, e di nuovo a Napoleone, a Carlo X, a Luigi Filippo, al governo repubblicano, a Napoleone III.
Nello spiegare questi rapidi trapassi delle volontà da un personaggio all'altro, in particolare nei rapporti internazionali, nelle conquiste e nelle alleanze, questi storici devono involontariamente riconoscere che una parte di quei fenomeni non sono già regolari trasferimenti delle volontà, ma fatti casuali dipendenti ora dall'astuzia, ora dall'errore o dalla perfidia, o dalla debolezza di un diplomatico, o di un monarca, o di un capopartito. Cosicché la maggior parte dei fenomeni storici - lotte intestine, rivoluzioni, conquiste - appaiono a questi storici non già come prodotti di una trasmissione di libere volontà, ma come il prodotto della volontà falsamente diretta di un solo o di pochi uomini, cioè di nuovo come usurpazioni del potere. E perciò gli avvenimenti della storia sono presentati anche da questo genere di storici come deroghe alla teoria.
Siffatti storici sono simili a quel botanico che, avendo notato come alcune piante escano dal seme con due cotiledoni, insistesse a dire che tutto ciò che cresce, cresce soltanto sdoppiandosi in due foglioline, e che la palma, il fungo, e perfino la quercia, ramificandosi nel loro pieno sviluppo o non avendo piú l'apparenza di due foglioline, derogano alla teoria. Gli storici della terza specie riconoscono che la volontà delle moltitudini si trasmette ai personaggi storici condizionatamente, ma che queste condizioni ci sono ignote. Dicono che i personaggi storici hanno il potere soltanto perché adempiono la volontà delle moltitudini a loro trasferita. Ma in tal caso, se la forza che muove i popoli non sta nei personaggi storici, ma nei popoli stessi, in che cosa consiste l'importanza di questi personaggi? Essi esprimono, dicono questi storici, la volontà delle masse: l'attività dei personaggi storici serve a rappresentare l'attività delle nasse.
Ma in tal caso si affaccia una domanda: tutta l'attività dei personaggi storici serve da espressione della volontà delle moltitudini o solo una certa parte di essa? Se tutta l'attività dei personaggi storici serve da espressione della volontà delle masse, come taluni pensano, allora le biografie dei Napoleoni, delle Caterine, con tutti i particolari dei pettegolezzi di corte, sono espressione della vita dei popoli, il che è un evidente assurdo;
[…]
Ancora meno la vita dei popoli ci è spiegata dalla storia degli scrittori e dei riformatori.
La storia della cultura ci spiegherà gli impulsi e le condizioni di vita e di pensiero dello scrittore o del riformarore. Noi sapremo che Lutero aveva un carattere impetuoso e faceva i tali discorsi: sapremo che Rousseau era diffidente e scrisse i tali libri; ma non sapremo perché dopo la riforma i popoli si massacrarono fra loro e perché al tempo della rivuluzione francese gli uomini si giustiziarono a vicenda. Se si uniscono insieme queste due teorie, come appunto si fa dagli storici moderni, anche allora sarà la storia dei monarchi e degli scrittori, ma non la storia della vita dei popoli.
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Qualunque avvenimento si sia compiuto, chiunque sia stato a capo di esso, la teoria può sempre dire che il tal personaggio è stato a capo dell'avvenimento perché l'insieme delle volontà era stato a lui trasmesso.
Le risposte date da questa teoria alle domande della storia sono simili alle risposte di un uomo che, guardando un armento in moto, senza tener conto della diversa bontà dei pascoli nei vari tratti del terreno né dell'incalzare del pastore, giudicasse delle cause di questa o di quella direzione presa dall'armento dall'animale che cammina alla testa di esso.
« La mandra va in questa direzione perché l'animale che cammina in testa la conduce e l'insieme delle volontà di tutti gli altri animali è stata trasferita a questa guida della mandra. » Cosí rispondono gli storici della prima categoria, che ammettono la trasmissione incondizionata del potere. «Se gli animali che vanno in testa alla mandra vengono cambiati, ciò avviene perché la somma delle volontà di tutti gli animali si trasferisce da una guida all'altra, secondo che questo animale conduce la mandra nella direzione che tutto l'armento ha scelto. » Cosí rispondono gli storici i quali ammettono che l'insieme delle volontà popolari si trasmetta al governanti a condizioni che essi stimaro note. (Con questo metodo di osservazione succede spessissimo che l'osservatore, regolandosi sulla direzione da lui scelta, stimi guidatori quelli che, dato il mutamento di direzione delle masse, non sono piú in testa, ma a fianco, e a volte in coda.)
« Se gli animali che sono in testa mutano di continuo e di continuo muta la direzione di tutta la mandra, ciò avviene perché, per raggiungere la direzione a noi nota, gli animali trasmettono le loro volontà a quelli di loro che per noi son visibili, e perciò, al fine di studiare il movimento della mandra, bisogna osservare tutti gli animali per noi visibili che camminano da tutte le parti dell'armento. » Cosí dicono gli storici della terza categoria, che riconoscono come espressioni del loro tempo tutti i personaggi storici, dai monarchi ai giornalisti. La teoria del trasferimento delle volontà popolari ai personaggi storici è soltanto una perifrasi: è soltanto la formulazione della domanda con altre parole.
Quale è la causa degli avvenimenti storici? - I1 potere. -
Che cosa è il potere? - Il potere è l'insieme delle volontà trasferite a un solo personaggio. - A quali condizioni le volontà delle masse si trasmettono a un solo personaggio? - A condizione che il personaggio esprima le volontà di tutti. Cioè il potere è il potere. Cioè il potere è una parola il cui significato ci è incomprensibile.
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tutte le aspirazioni degli uomini, tutti gli impulsi a vivere sono soltanto aspirazioni a un accrescimento della libertà. Ricchezza o povertà, gloria od oscurità, potere o soggezione, forza o debolezza, salute o malattia, istruzione o ignoranza, lavoro od ozio, sazietà o fame, virtú o vizio altro non sono che maggiori o minori gradi di libertà. Un uomo che non abbia libertà non é possibile rappresentarselo che come privo di vita.
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Come deve essere considerata la vita passata dei popoli e dell'umanità: come il prodotto dell'attività libera o non libera degli uomini? Ecco il problema della storia.
Solo nella nostra epoca presuntuosa di volgarizzazione del sapere, grazie all'arma piú forte dell'ignoranza: la diffusione della stampa, la questione della libertà del volere è stata condotta su un terreno sul quale la questione stessa non può nemmeno esistere. Al nostro tempo la maggioranza dei così detti uomini progressivi, cioè la folla degli ignoranti, ha accettato i lavori dei naturalisti, che si occupano di un lato solo del problema, come soluzione dell'intero problema.
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parliamo della migrazione dei popoli e delle invasioni dei barbari, o delle disposizioni di Napoleone III, o dell'atto compiuto da un uomo un'ora fa e consistente nell'aver scelto una fra le varie direzioni della sua passeggiata, noi non vediamo la minima contraddizione. La misura della libertà e della necessità che ha guidato gli atti di questi uomini è per noi chiaramente definita.
Spessissimo la rappresentazione della maggiore o minor libertà è diversa secondo il diverso punto di vista dal quale consideriamo il fenomeno; ma - sempre ad un modo - ogni atto dell'uomo non ci si presenta che come una certa unione di libertà e di necessità. In ogni azione esaminata vediamo una certa dose di libertà e una certa dose di necessità. E sempre, quanta piú libertà vediamo in una qualsiasi. azione, tanta meno necessità vediamo in essa; e quanta più necessità, tanta meno libertà.
[…]

   
Pungitopo pungitopo@pungitopo.com