APPENDICE BIOGRAFIA
1
IL NOSTRO MONDO, inizio e fine di un ciclo di divenire

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Anticipazioni sulla struttura e sui numerosi fenomeni che interessano il nostro mondo sono state date nei capitoli precedenti e ciò è avvenuto perché resosi necessario, sia per giungere ad una corretta definizione dei concetti di spazio, tempo e divenire, sia per individuare le condizioni iniziali che hanno consentito la nascita del nostro mondo, e infine con lo scopo di gettare le basi per il raggiungimento dell’obiettivo principale di questo lavoro: la smentita dell’esistenza di uno spazio-nulla attraverso una nuova e diversa interpretazione dei fenomeni fisici, condizionati da uno spazio pieno di materia.
A questo adempimento, non facile, è stato possibile giungere soltanto dopo un giudizio critico che riguarda la teoria della relatività, e buona parte della meccanica classica, pertanto i fenomeni fisici, che saranno riproposti, avranno una collocazione nuova il che conduce, inevitabilmente, ad una sconfessione della loro interpretazione attraverso queste due teorie oggi considerate in parte rivali.
L’esperienza ci dice che nel nostro mondo non esiste energia “autonoma”, avente un proprio volume, poiché rimane costantemente legata alla massa, mentre nel caso dell’energia luminosa, questa risulterebbe essere l’unica eccezione ma a condizione che fosse accertato che lo spazio sia sicuramente vuoto di massa.
L’esistenza d’energia, in forma intrinseca nell’universo primordiale, è sufficiente a giustificare la presenza di tutte quelle altre “libere” (così chiamate per essere disponibili a trasferirsi da un corpo all’altro unitamente al rispettivo contenitore naturale, il quanto di massa), presenti nel nostro mondo, ed esclude l’idea che la massa possa essere un addensato d’energia.
Riuscire ad unificare le varie forme d’energia è stato da sempre un’ardita ambizione di tutti i fisici, ma ancora più difficile si presenta ora il compito in conseguenza della necessità di doverle ricollegare a quell’unica forma d’energia intrinseca che appartiene all’universo primordiale.
Un criterio razionale di diversificazione dell’energia, può essere quello della valutazione del grado di pregio che questa ha acquisito, attraverso lo stato di addensamento raggiunto dalla particella che la contiene. Poiché nel nostro universo la massa è presente in stati di addensamento crescenti, a cui corrispondono particelle diverse, anche l’energia intrinseca, a queste legata, deve essere sottoposta ad un accrescimento che va riferito ad un suo attributo, la “potenza”, il cui valore massimo è quello presente nell’elettrone, per avere questa particella raggiunto lo stato ultimo di addensamento. Questa energia, posseduta dall’elettrone, consente il suo movimento di spin e quello orbitale che non cesseranno mai per l’impossibilità che questa energia possa lasciare la particella.
L’energia elettromagnetica è invece energia “libera” che verrebbe trasferita dalla particella termica all’elettrone unitamente al quanto di massa addensato che la contiene. Questo trasferimento va visto attraverso un fenomeno che conduce ad un ulteriore addensamento della particella ricevente, addensamento questo che, presentandosi instabile, perché produce effetti negativi riguardanti l’equilibrio dinamico (movimento di spin), e quello elettrico (aumento della carica negativa), fa nascere la necessità del loro ripristino che può avvenire soltanto attraverso il fenomeno espulsivo della massa-energia ricevuta, a cui farà seguito altro assorbimento, sia da parte di altra particella, sia da un granulo dello spazio che, in questa ultima evenienza, conduce alla nascita di fotoni che, riuniti in flussi secondo le modalità in precedenza descritte, si identificheranno con i raggi luminosi. Quando l’elettrone passa dallo stato eccitato a quello stazionario, pur continuando a ruotare non emette energia elettromagnetica, e ciò in contraddizione con le leggi dell’elettrodinamica. Questo accade perché risulta essere in possesso soltanto d’energia intrinseca.
Il trasferimento d’energia libera da una particella poco addensata ad altra più addensata, attraverso l’ulteriore stato di addensamento che verrebbe conseguito, ne aumenta la “potenza” mentre il procedimento inverso porta ad un “degrado” dell’energia, di conseguenza, i ripetuti trasferimenti all’elettrone di energia termica, provocano oltre ad un aumento dello stato di addensamento, anche quello della potenza (il che esclude l’esistenza di una trasformazione), che, con il nome di energia elettromagnetica, si rende responsabile dei fenomeni elettromagnetici.
Se questo nuovo tipo d’energia (libera) si trasferisce dall’elettrone ai granuli dello spazio, mantiene la potenza acquisita, e ciò perché a questo trasferimento va associato quello del quanto si massa addensato (formato da diversi quanti di massa) che la contiene che, determinando, con la sua presenza, un aumento della carica elettrica negativa del granulo ricevente, produce, di conseguenza, una turbativa dell’equilibrio elettrico esistente tra il granulo e lo spazio circostante, e da qui nasce la necessità del suo ripristino attraverso un successivo trasferimento in altro granulo, e ciò di seguito con la velocità c.

E’ quanto accade nel divenire che riguarda i fenomeni luminosi, mentre nella circostanza che si verifichi il ritorno all’elettrone di questa energia, si giunge, dopo ripetuti trasferimenti, ad un aumento della velocità dell’elettrone che sarà costretto ad abbandonare l’atomo. Questo fenomeno è conosciuto col nome di effetto fotoelettrico.
L’energia (elettromagnetica), posseduta da un elettrone, quando si trasferisce in una particella termica, determina un notevole aumento dell’intensità del calore. E’quanto accade all’energia che si libera nel filamento di una lampadina o in quello di una stufa percorso da elettroni, al momento dell’interazione con una carica positiva (interazione questa che presenta un parallelismo con quella che conduce ai fenomeni di annichilazione, poiché anche questi conducono alla liberazione di energia) L’aumento del calore, di solito, avviene attraverso lo scambio di “particelle termiche” con altro corpo surriscaldato, che, ricevendo particelle “più fredde” consente il raggiungimento della condizione di equilibrio termico.
Le altissime temperature raggiunte al momento del Big-Bang (di nuova versione) sono una ulteriore conferma del trasferimento alle particelle termiche d’energia libera di potenza superiore a quella elettromagnetica, energia questa che si è liberata nell’antimondo in occasione dei fenomeni di annichilazione. Questo tipo d’energia, se trasferita alle particelle cinetiche, rimane la responsabile di quei fenomeni esplosivi che hanno consentito il trasferimento di ammassi di materia addensata, dall’antimondo a quella porzione di supermondo destinata a risultare lo spazio del nostro universo.
La potenza dell’energia “libera”, poiché dipende dallo stato d’addensamento conseguito dal suo contenitore, subisce un “degrado” nel caso di un suo trasferimento in una particella poco addensata, poiché minore risulterebbe lo stato di addensamento che verrebbe raggiunto dal suo contenitore (la particella ricevente) rispetto a quello precedente, degrado che si traduce nell’esistenza di energia di potenza inferiore ma aumentata d’intensità, termine questo che va riferito non già ad una grandezza da misurare con specifiche apparecchiature, ma al grado di “vistosità” dei fenomeni prodotti che, se riferiti alla particella termica, riguardano l’aumento del calore, mentre, se riferiti alla particella cinetica, l’aumento della velocità.
Quella che oggi è considerata una trasformazione o conversione dell’energia, accompagnata da un degrado, è il risultato del trasferimento da una particella più addensata ad altra meno addensata, di contro, quando si verifica il percorso inverso, la potenza aumenta e diminuisce l’intensità: è quanto accade all’energia termica quando si trasferisce dalla particella termica all’elettrone, per cui occorrono ripetuti trasferimenti (e addensamenti) per giungere oltre che ad un aumento della potenza anche a quello dell’intensità, qual è quella necessaria per consentire l’istaurarsi dei fenomeni elettromagnetici.
Va rilevato che il degrado dell’energia, accompagnato da un aumento dell’intensità, trova un preciso riscontro in quel fenomeno conosciuto col nome d’attrito, che va giustificato non già come effetto prodotto da una forza, ma attraverso il semplice trasferimento d’energia cinetica, presente in un corpo in movimento, a particelle termiche, trasferimento che conduce inevitabilmente ad una riduzione della velocità e ad un aumento del calore.
Questo fenomeno merita di essere sottoposto ad un’accurata indagine sulle varie fasi che lo compongono in modo da consentire di escludere la partecipazione di una forza.
L’attrito risulta essere presente tutte le volte che le superfici di due corpi strisciano una sull’altra in conseguenza del moto che, se è rettilineo si parla d’attrito radente, mentre se rotatorio è usato il termine d’attrito volvente, in entrambi i casi si giunge ad una progressiva riduzione della velocità fino a giungere alla cessazione del moto, il tutto accompagnato sistematicamente da un aumento dell’intensità del calore.
Poiché il primo principio della dinamica afferma che “un corpo permane nel suo stato di moto rettilineo uniforme fino a quando non sia costretto a mutarlo per effetto di forze impresse” si è finito per escludere l’esistenza di una “causa” che possa condurre a questo risultato che non sia quella che si identifichi con una forza, escludendo che possa avvenire in conseguenza di una riduzione del contenuto di energia cinetica. Da qui è nato il convincimento che tra le molecole di due corpi, che si trovano a contatto, nascano forze attrattive di breve raggio d’azione e di una certa intensità, e questo pur convenendo che si tratta di un fenomeno molto complesso poiché entrano in giuoco tanti altri fattori di cui, purtroppo, non siamo in grado di stabilire in quale misura e in che mondo esercitano la loro influenza.
Tra le leggi dell’attrito, frutto di rigorose prove sperimentali, meritano di essere segnalate le seguenti:
1) l’attrito radente rimane indipendente dall’area delle superfici di contatto.
2) l’attrito radente e l’attrito volvente si possono considerare indipendenti dalla velocità.
3) l’attrito radente e l’attrito volvente sono sempre maggiori all’inizio del moto che durante il moto

Queste tre leggi non ci dicono nulla sulle cause che producono un aumento dell’intensità del calore, per cui l’interpretazione di questo fenomeno è stata ricondotta ad una trasformazione termodinamica che consente di rimanere in pieno accordo con la legge di conservazione dell’energia..
L’intendimento dominante di questo lavoro rimane rivolto a conseguire il fine di escludere la presenza di forze nell’interpretazione dei fenomeni fisici, di conseguenza, non può ritenersi completato questo compito, fino a quando non saranno stati presi in esame anche quegli altri fenomeni che, anche se meno rilevanti dei precedenti affrontati, hanno come denominatore comune la presenza di una forza e in special modo quando questa si presenta formulata ad hoc e priva di quel requisito (presenza di una particella mediatrice), che ritroviamo nelle altre forze.
Un buon motivo che consente di escludere l’esistenza della forza d’attrito, è il seguente: trattandosi di una “forza a carattere universale”, non può esistere in natura poiché, determinando la cessazione del moto, si opporrebbe al divenire dell’universo che, rimane governato dal moto, il che finisce per condurre all’implicita ammissione che la natura, in determinate circostanze, contraddica se stessa.
In queste condizioni bisogna convenire che ci troviamo in presenza di un “fenomeno naturale” che conduce sì ad una riduzione dell’energia cinetica e, conseguentemente, alla cessazione del moto, ma determina al contempo, attraverso l’aumento del calore, un aumento dell’entropia che rimane un obbiettivo prioritario da perseguire e a cui non è consentito opporsi.
Per sconfessare la presenza di una forza nel fenomeno dell’attrito la strada da seguire rimane quella rivolta ad una corretta interpretazione del fenomeno, e ciò tenendo conto che non c’è dato sapere in che modo l’azione di una forza attrattiva, posa condurre alla “conversione” dell’energia meccanica in termica. In queste condizioni rimane più utile porre l’attenzione soltanto sugli unici veri protagonisti del fenomeno che vanno individuati nelle particelle cinetiche e termiche lasciando che rimangano escluse le superfici a contatto perché ininfluenti, secondo quanto previsto dalla prima legge anche se si riferisce soltanto all’attrito radente.
La conclusione, a cui conduce un primo semplice ragionamento logico deduttivo, è la seguente: se ammettiamo che, in assenza di forze, determinate particolari circostanze possano condurre le particelle termiche a sottrarre energia alle particelle cinetiche, rimane giustificato il risultato che verrebbe conseguito, consistente in un aumento del calore e in una riduzione della velocità.
Da qui nasce la necessità d’individuare le modalità che conducono alle interazioni tra le due particelle e che possono essere riferite sia ai fenomeni d’attrito sia a quegli altri in cui, in assenza di forze, si assiste ad un aumento della temperatura a spese dell’energia cinetica.
In questo schema d’indagine occupa il primo posto, strano a dirsi, il fenomeno dell’evaporazione dell’acqua. Quando stendiamo dei panni ad asciugare l’esperienza ci dice che attraverso l’esposizione ai raggi del Sole o ad una sorgente di calore, l’evaporazione dell’acqua avviene rapidamente e ancora di più se è presente una ventilazione dell’aria, e ciò senza avere la conoscenza dei fenomeni che conducono al potenziamento dell’azione del calore, ritenuto, a ragione, l’unico responsabile del cambiamento di stato dell’acqua.
Rimane, a questo punto, senza risposta il quesito rivolto a conoscere i motivi che possono giustificare il ripetersi dello stesso fenomeno di notte e in assenza di una fonte di calore, condizioni queste che, da sole, non consentirebbero il raggiungimento di quel numero di calorie (600 grandi calorie per chilogrammo di acqua evaporata) necessarie per determinare il fenomeno dell’evaporazione. L’unica risposta convincente rimane la seguente: la causa responsabile di produrre l’evaporazione dell’acqua presente nei panni, non può essere individuata soltanto nel calore presente nell’ambiente, che si trasferirebbe gradualmente nell’acqua, e ciò perché, una volta raggiunta la condizione d’equilibrio termico, nessun trasferimento di calore (attraverso le particelle termiche) si renderebbe possibile e, di conseguenza, quello che è stato assorbito si presenterebbe insufficiente per compiere quel lavoro che consente il fenomeno dell’evaporazione. In queste condizioni la responsabilità del fenomeno va riferita unicamente alla “differenza di temperatura” esistente inizialmente tra l’acqua e l’aria e ciò perché consente alle particelle termiche d’essere presenti alla periferia del corpo e cioè nello spazio che rimane in comune con le molecole dell’aria dove sono anche presenti le particelle cinetiche responsabili del moto di queste molecole.