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Nato Sciacca

L'autore | La figura | L'opera
Nasce a Patti, provincia di Messina, l’8 gennaio 1907.
Nel 1935 va a Milano per frequentare il corso di scultura all’Accademia di Brera, e vi si fermerà fino al 1939.
Nel 1940 si trasferisce a Roma, dove continua l’attività di scultore e partecipa a diverse collettive.
Nel marzo del 1942 sposa Tina Vullo e rientra definitivamente a Marina di Patti, dove muore il 13 luglio 1995.
Dal catalogo della mostra "Nato Sciacca e l'arte astroabissale"

Consegniamo oggi alla stampa quanto si è riuscito a raccogliere della vita e dell’opera di Nato Sciacca, con la consapevolezza di chi salda parzialmente e dopo troppi anni il tributo che merita una personalità così alta e importante nel panorama artistico del nostro Novecento.
Asfissiata da un’inadeguata attenzione, che a tutt’oggi non ha consentito l’esame critico che la sua opera certamente merita, la figura artistica di Nato Sciacca è stata distratta da quella dell’inventore, forse perché ritenuta di più facile e popolare lettura. Ignorata dagli “addetti ai lavori”, lasciata nell’ambito angusto della provincia in cui ha vissuto, abbiamo lasciato scadere la personalità artistica di Nato Sciacca al livello di “personaggio”. L’intuizione e la genialità si sono inevitabilmente corrotte in estrosa o stravagante capacità inventiva.
Eccettuata qualche breve nota critica di Giancarlo Vigorelli, in occasione di una mostra milanese del 1939, e di un sintetico giudizio di Giovanni Joppolo (ora ampliato in questo volume da una mia intervista), nell’archivio di Nato Sciacca non si possiedono, oggi, ulteriori riflessioni sulla sua opera. Né la poca corrispondenza epistolare con i più significativi nomi dell’arte e della cultura del ’900, coi quali condivise gli anni della sua formazione milanese, aggiungono altro, che non si riferisca alla stima e profonda amicizia che li legavano a Nato Sciacca.
Abbiamo ritenuto opportuno, per una ricostruzione della figura umana ed artistica di Sciacca, pubblicare tutti quei brani che nella Doppia storia, romanzo di Beniamino Joppolo, suo cugino e compagno nella Milano di “Corrente”, ce lo propongono con lo pseudonimo di «Masino».
Mancando le indicazioni cronologiche che diano una datazione certa alle sue opere, e seguendo una ricostruzione biografica affidata quasi esclusivamente ad una tardiva e lacunosa memoria familiare, i criteri di chi oggi si trova a “pubblicare” non possono affidarsi che al sentimento attuale di chi, con stima affetto e sapienza di altro mestiere, ha un’occasione per dar luce alla vita e alle opere di Nato Sciacca.
Unico conforto, nell’incertezza di questa rischiosa fatica, la speranza che si tratti di un primo avvio, di un lavoro iniziale, utile almeno a documentare, ad un pubblico più attento e più vasto, il passaggio umano di una personalità di indiscutibile levatura.
Per le vie di Milano con Beniamino Joppolo (a destra) e un amico
Masino

Abbiamo stralciato dal romanzo autobiografico La doppia storia di Beniamino Joppolo (Pungitopo editrice), quei passi che raccontano di Nato Sciacca (qui con lo pseudonimo di Masino) tentando di ricostruire qualche tratto del suo carattere e qualche episodio che lo ha visto calato nella familiarità del suo ambiente siciliano o nell’atmosfera milanese di Corrente (sono individuati altri artisti e intellettuali che ne fecero parte). Da una superficiale considerazione, la presenza di Masino-Nato risulta nel romanzo, corposa e ricca, tanto a significare l’importanza della figura del cugino-amico Nato nella ricca tormentata e complessa Storia di Joppolo.

Un cugino della sua età viveva sempre al mare: Masino [Nato Sciacca], biondo alto forte snello. Lui lo seguiva e ammirava, sopratutto quando lo scopriva nel grande camerone a pianterreno dove dormiva con tanti fratelli, tra letti e letti. Lì, Masino gli sembrava una piccola deità in riposo. Certe volte, a tavola, don Pietro [Giovanni Joppolo, padre di Beniamino] declamava poesie amorose o eroiche, e tutti i bambini stavano ad ascoltarlo. I più grandi di loro spesso già facevano discorsi serii, isolandosi. Giacomo [Beniamino Joppolo] capiva, ma si vedeva trascurato, e di ciò non che soffrisse, ne provava malinconia.
[…]
Il giorno dopo, lui e Alberto [Diego, fratello di Beniamino], col cugino Masino, andarono a vedere la mattanza dei tonni. Sul mare c’era un grande sole abbagliante. Le barche a vapore giravano nere e rumorose. I pescatori gridavano, i tonni venivano spinti e ammassati al centro. A un tratto, da tutte le parti, furono lanciate contro le schiene nere le picche punture che si conficcavano nelle carni. I tonni si rivoltavano con guizzi e mostravano i ventri bianchi da grosse anguille, mentre il sangue arrossava le acque. Il cerchio delle barche stringeva sempre più i tonni dagli occhi disperati e dai musi imploranti, sottili come pugnali sconfitti. All’improvviso le barche irruppero tra i tonni, e i pescatori, con grosse mazze, urlando come invasati, a colpi poderosi, incominciarono a fracassarne le teste. Il mare era un grumo di sangue mosso a ondate pesanti, tra quei corpi lacerati, finalmente inerti.
[…]

Il poeta dell'Arte Astroabissale

Messina, Marzo. Parlare con Nato Sciacca è impresa molto facile, basta andare in Sicilia e fermarsi a Marina di Patti. Lui è là, e non c’è caso di sbagliarsi perché è la figura più tipica e caratteristica del paese. Lo vedi subito che è un pittore, e non solo per qualche [?] sulle mani o sugli abiti trasandati, ma per quel suo atteggiamento quasi estatico che lo fa sostare largamente ad osservare il particolare tono di un’ombra o il giuoco del sole tra le barche in secca sulla spiaggia. E se non è sulla spiaggia è in casa, in una vecchia dìmora patrizia assai logorata dagli anni e dall’incuria. Incuria anche sua, ma lui non se ne preoccupa, e sostiene che è tutto superfluo ciò che non è strettamente essenziale alla vita di ogni giorno. Fa quasi uno strano effetto incontrarsi e conversare con lui, apparentemente fermo nel tempo, mentre intorno ci si affanna in una gara di rinnovamento. Diresti che sogna, e forse sogna davvero, in ogni ora della sua giornata, seguendo pensieri che poi esprime in piccolo tele dove non trovi figure ma sottile armonia di linee, come di un firmamento tutto suo, e delicati accostamenti di colori che non son mai orgiastici anche quando toccano le tonalità maggiori.
Ciò che davvero ti sorprende è sapere che è proprietario di un cinema nella vicina Barcellona dove ogni tanto si reca per dare un’occhiata. A1 cinema? Forse no, perché ha trovato il modo di sistemare anche lì, accanto alla sala di proiezioni, uno studio di pittura. Ma il cinema prospera anche senza di lui, ed è questo, oltre ai terreni, che lo rassicura per i figli; perché si rifiuta di credere che l’opera d’arte possa ad un certo momento diventare elemento di commercio e quindi fonte di guadagno. È una concezione un po’ troppo rigorosa, un po’ troppo fuori della realtà per essere valida ai nostri giorni, e non soltanto ai nostri. Ma Nato Sciacca non si preoccupa di alcuna sollecitazione degli amici, sorride tranquillo come chi la sa lunga più di noi, e se insisti lo trovi già svagato, distratto, a seguire i suoi pensieri: oppure attacca a parlare con entusiasmo giovanile
di un argomento tutto diverso dove ti è difficile seguirlo perché forse non pensavi che potesse esistere.
I suoi cinquant’anni non sembrano trascorsi per lui, e ti racconta le vicende della sua vita artistica di Milano, e dei suoi studi all’accademia di Brera, come di un recentissimo passato e di un sistema di vita che prima o dopo dovrà pur riprendere. E si tratta degli anni dal ’35 al ’40 quando frequentò l’accademia, dopo gli studi classici seguiti a Patti. Poi rimase a Milano nello studio dello scultore Arturo Martini, e fece parte del gruppo molto vicino a Joppolo, Fontana, Sassu, Migneco, Birolli.
In quel periodo espose varie volte alla quadriennale d’arte di Milano, e nel ’39 – era ancora all’accademia di Brera – Giancarlo Vigorelli s’interessò positivamente delle sue opere e vide in lui giovanissimo una sicura promessa per l’arte italiana. Così infatti scrisse di lui Vigorelli:
«Presiede al lavoro di Nato Sciacca già una misura, un ordine, in un giovanissimo sorprendente quasi al punto di legittimare una esitazione: cioé che egli voglia chiudere in fretta e anzitempo. E non è. Invece Sciacca sa favorire il suo lavoro fuori di ogni polemica, di ogni cifra: infatti, sotto il suo ordine, fresca ancora è l’inquietudine, la piega di ricerca, lo stimolo. Appunto – come i giovani oggi più pronti – desiste da una coltivazione acre d’una citata modernità, e con fiducia e franchezza svolge invece una naturale “contemporaneità”. In queste notizie non è dato descrivere le intere risorse di Sciacca. Vogliamo almeno precisare un suo speciale luogo poetico, una brusca dolcezza a sorprendere il mondo, a meritarsi con forza quella dolcezza. La sua indipendenza ha già i segni di un risultato in proprio e di una assai corredata misura morale e poetica».
Nello stesso anno 1539, in occasione di una nuova mostra collettiva a Milano, così Raffaele De Grada scrisse sul “Corriere della Sera”: «In tanto avvilente panorama plastico, una sola opera è degna di essere notata, ed è la Maschera in cera di Nato Sciacca che denota una grande delicatezza».
È superfluo riportare altri giudizi della critica qualificata anche perché dureremmo a lungo: abbiamo scelto di proposito due brani del ’39, quando Sciacca era ancora giovanissimo e riusciva più di altri a suscitare interesse.
Abbiamo detto che Nato Sciacca sembra un personaggio fermo nel tempo, ma ci siamo riferiti alla vita dell’uomo e non già dell’artista. I1 pensiero dell’artista si è infatti costantemente proiettato nel futuro, in ciò che sarà, in ciò che potrà essere, in ciò che forse non sappiamo ancora come e che cosa sarà.
Fin dal 1950 infatti ha chiamato la sua pittura “arte astro-abissale”, una definizione decisamente suggestiva che involontariamente ci trasferisce sul piano magico di una fantascienza allora non pur definita.
Il movimento spaziale fondato a Milano nel ’54 è successivo di 4 anni alla corrente di Nato Sciacca che ha dimostrato di interpretare con buon anticipo quali sarebbero state le sollecitazioni degli artisti suoi coetanei o di lui più giovani.
Ora Nato Sciacca prosegue, sempre costante, nello sviluppo delle sue concezioni pittoriche dell’arte astro-abissale che lo impegna in una ricerca metodica, ìn profondità, estraniandolo dalla nostra realtà quotidiana, dal momento che vive in una sfera surrealista da lui stesso creata e dove forse lui solo sa operare.
Il nostro rammarico semmai – se di vero rammarico possiamo parlare – va ricercato nel suo volontario isolamento che priva il movimento artistico contemporaneo di un nome su cui decisamente puntare e non gli consente dì arricchirsi delle sue esperienze attraverso l’espressione di un’opera profondamente valida.

Pandemonio [Ennio Salvo D’Andria]
(“Pandemonio”, 11 marzo 1960).


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