|  | Nasce a Messina il 2  aprile 1910 da Vincenzo De Fichy e Maria Adelaide Scarfì.Determinanti per le sue spiccate  propensioni artistiche si configurano senza dubbio gli anni della fanciullezza  vissuti a contatto con il nonno materno, Giovanni Scarfì, affermato e  talentuoso scultore presso il quale abitava con la madre nella casa in contrada  Scoppo. Non priva di influenza per i suoi orientamenti culturali (e in seguito  anche politici), sebbene staccata dal contesto familiare, deve essere stata la  figura del padre Vincenzo, noto giornalista redattore de “Il Messaggero” nonché  fondatore e direttore de “La settimana siciliana” e delle testate satiriche “Il  Cammaroto” e il “Don Giovanni”, soppresso nel 1936 perché sospettato di  antifascismo.
 Frequentando lo studio del nonno e  posando per lui, Egidio apprende giovanissimo i rudimenti del disegno e della  pittura e impara a manipolare la materia duttile del gesso, della cera e della  creta, tecniche a lui congeniali che più tardi affinerà utilizzandole per  rivelare quel ricco mondo interiore che l’indole modesta e riservata non  lasciava trapelare. Si datano già agli anni 1927-28 le prime prove di pittura.  A quest’epoca risalgono le tavolette che ritraggono, attraverso un cromatismo  acceso e un ductus sintetico e costruttivo, scorci paesaggistici che talvolta  inseriscono figure di sapore postimpressionista; nello stesso periodo si dedica  anche al genere della natura morta privilegiando inusuali soluzioni  compositive.
 Al realismo vitale e sensibile di  Giovanni Scarfì, autore di pregnanti ritratti dal vero, è ancora da ricondurre  la propensione del De Fichy verso tale genere, praticato dallo scultore dagli  esordi sino all’ultima produzione con continuità, tanto da consentire una  lettura diacronica del processo creativo più chiaramente che negli altri filoni  tematici prediletti dall’artista.
 In seguito alle difficoltà economiche  sopraggiunte con la morte del nonno, nel 1929 Egidio si arruola nella Regia  Marina. Congedatosi quattro anni dopo con l’intento di dedicarsi alla scultura,  torna a Messina e viene accolto nello studio di Antonio Bonfiglio, sito  all’interno del Convitto Cappellini, nei pressi di casa Scarfì. Inizia così un  rapporto di stima e fiducia reciproco destinato a durare tenacemente nel tempo.  Le opere dell’affermato scultore saranno infatti per il De Fichy un costante  punto di riferimento, mentre dal canto suo il Bonfiglio sosterrà la  partecipazione ad importanti occasioni espositive dell’ex allievo anche negli  anni della maturità. Stimolato dal maestro a lavorare alacremente per  recuperare il tempo perduto, copia numerosi calchi della statuaria classica ed  esegue vari ritratti dal vero. I risultati non tardano ad arrivare: nel 1934 De  Fichy vince la borsa di studio Tommaso Aloysio Juvara con la scultura in gesso Don Saro. Il premio (3.000 lire annuali)  gli consente di trasferirsi a Roma nel 1935 per perfezionare la formazione.  Nella capitale frequenta l’Accademia Inglese e la Scuola Libera del  Nudo del Circolo Artistico e divide l’alloggio di via del Babbuino con il  pittore Felice Forgione che sarà più volte ritratto dal nostro. La copiosa  produzione grafica e le sculture relative al periodo romano (si vedano i  ritratti di Elsa e Marcello Merlini) testimoniano i progressi fatti in questi  anni. Si iscrive ai corsi del Museo Artistico Industriale ma riuscirà a  conseguire il diploma solo nel 1942, chiedendo una licenza per assentarsi  dall’isola di Saseno a cui era stato destinato come sottocapo cannoniere già  nel ’39. Le interruzioni forzate dovute ai ripetuti richiami alle armi (nel  ’35, nel ’38 e dal 1939 al 1945) condizionano inevitabilmente la carriera  dell’artista che dopo la devastante esperienza della guerra decide di tornare a  Messina e di accettare l’incarico di disegnatore presso il Genio Civile. Il  nuovo lavoro e i vincoli familiari non impediscono al De Fichy di proseguire il  suo percorso artistico raccogliendo i consensi della critica e partecipando ad  importanti esposizioni collettive a carattere nazionale a Roma, Napoli, in  Calabria e in Sicilia.
 I ritratti della moglie Maria e delle  figlie Maria Adelaide, Benedetta (Benita), Enza e Antonella - espressione della  fitta trama di valori affettivi che unisce il nucleo familiare - e le piccole  sculture esposte, sempre in bilico tra immediatezza realistica e rarefatto  simbolismo, sono frutto di quel processo interiore e di quella vocazione  spirituale che hanno permesso allo scultore di raggiungere la purezza della  forma lavorando nel solco di una figurazione fedele alla tradizione.
 Ormai ultraottantenne Egidio De Fichy  ha sentito l’esigenza di fissare sulla carta alcuni episodi della giovinezza e  l’esperienza drammatica della guerra (la prigionia, la fame, gli stenti)  attraverso brevi ma intensi racconti, confluiti nel volumetto postumo Tamo Vamo edito da Pungitopo. Nella  premessa Egidio afferma: Non sono uno  scrittore ma sforzandomi con la mente scrivo queste pagine attingendo ai  ricordi. Ormai sono in un’età molto avanzata e la notte, quando mi sveglio,  rivivo col pensiero quei giorni e quei momenti abbastanza tristi. […] Però, ci tengo a dirlo, sono Scultore.
 
 Stefania Lanuzza
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